Chi siamo? E' l'ambiente ad educarci e ad influenzare le nostre scelte, come pensava il grande Emile Zola, o siamo liberi di scegliere tra il bene e il male senza alcuna influenza esterna? Questa sembrerebbe la domanda di fronte alla quale il regista, Daniele Vicari, pone lo spettatore.
Giorgio (Elio Germano) è un ragazzo figlio della Bari bene; un padre letterato, una mamma dolce e comprensiva, una bella ragazza al suo fianco. Eppure ha una sorta di repulsione verso tutto il bello che lo circonda, verso ciò che è pulito e lineare o apparentemente tale. Eppure ha dentro di sè una sorta di inquietudine che farà esplodere alla prima occasione.


Giorgio conosce  Francesco (Michele Riondino) ad una festa in casa di amici e ne è affascinato dal modo di fare. Francesco, chiamato per intrattenere con giochi di carte gli amici della padrona di casa, è bello e sciolto ma a tradire le sue origini si presentano presto dei brutti tipi che pretendono di regolare un conto in sospeso. E' in questo momento che viene fuori la vera indole di Giorgio che, con il pretesto di difendere lo sconosciuto Francesco, inizia  a fara a pugni.
Francesco a seguito dell'episodio sopra citato si lega a Giorgio e, dopo avergli insegnato tutti i trucchi del mestiere di un bravo baro, lo trascina con sè nelle bische clandestine e nei tornei di poker.
Giorgio vivrà un periodo della sua vita in cui darà sfogo a tutte le sue pulsioni, si scoprirà avido di denaro e di violenza e finanche corresponsabile di alcuni delitti.
Alla fine, però, in Giorgio prevarrà quell'educazione forte e severa che ha sempre cercato di fargli discernere il bene dal male e, fuori dai fumi delle droghe, riuscirà a salvare se stesso e non solo.
L'incontro con Francesco è trascinante come una vertigine (vi ricordate quando da bambini si girava in tondo proprio per provocare quell'effetto?) ma è una vertigine pericolosa, che porta al fondo. Si può risalire dal fondo? Per Carofiglio, autore del romanzo da cui il film è tratto, e quindi per Vicari, sì.


Il film è bello perchè è reale. Ad una certa età si prova un'attrazione profonda e perversa non solo verso il proibito, ma verso tutto ciò che è oscuro, verso una dimensione fatta di istinti primordiali, di ES tanto per dirla alla Freud, che la nostra educazione ha sempre voluto mettere a tacere. Insomma, quando si è giovani e pieni di energie, come lo è il protagonista, si sperimentano anche le pulsioni più nascoste.
Il regista, poi, non si lascia andare a giustifacazioni morali e sociali per cui chi sbaglia lo fa sempre con cognizione di causa e gli errori, o almeno quelli più gravi e gratuiti, non scaturiscono mai da uno stato di necessità.


Lontano da ogni retorica, la pellicola affronta con semplicità tematiche complesse liberandosi, inoltre, dal fardello di facili provincialismi (solo qualche personaggio parla con un registro dialettale) e quasi si stenta a riconoscere Bari, che perde la sua connotazione tipicamente meridionale. Il mare quasi non si vede ed il sole nemmeno. Bari è vissuta durante le notte, durante le ore di buio, quelle che offuscheranno per un pò la vita di un bravo ragazzo.

B.

 


Scheda Film
Titolo: Il passato è una terra straniera / Regia: Daniele Vicari / Sceneggiatura: Daniele Vicari, Francesco Carofiglio, Gianrico Carofiglio, Massimo Gaudioso tratta dal romanzo "Il passato è una terra straniera" di Gianrico Carofiglio/ Fotografia: Gherardo Gossi / Montaggio: Marco Spoletini / Scenografia: Beatrice Scarpato / Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi / Musica: Teho Teardo / Interpreti principali: Elio Germano, Michele Riondino, Daniela Poggi, Valentina Lodovini, Chiara Caselli, Marco Baliani /  Produzione: Domenico Procacci, Tilde Corsi, Gianni Romoli in colaborazione con Rai cinema / Distribuzione: 01 Distribution / Paese: Italia / Anno uscita:  2008 / Genere: Drammatico-Psicologico /  Durata: 120 minuti


30.11.10

Addio Maestro

Pubblicato da B. |

Non sono solita fare commemorazioni, ma ieri se ne è andato un grande maestro del cinema italiano, Mario Monicelli, e mi sento in dovere di fargli un ultimo saluto.
Monicelli non ha parlato solo dell'Italia ma ha descritto la società italiana di cui si è sempre sentito parte e partecipe, dalle miserie, umane e materiali, della guerra alle distorsioni apportate dal benessere. Ha saputo guardare al mondo con uno sguardo amaro e sarcastico e mai si è lasciato andare a deboli giustificazioni e a falsi pietismi.
Attivo nella società sino a tarda età, ha partecipato, infatti, a Raiperunanotte ed ha esperesso pareri fortemente critici nei confronti dei tagli alla scuola e alla cultura. 
Ricordo che Monicelli era iterpellato per esprimere pareri sullo stato dellle cose proprio come un vecchio saggio...solo che lui era vecchio, saggio e per di più stronzo quindi anche più incisivo di altri.
Non mi meraviglia che si sia suicidato, del resto gli uomini della sua levatura sono soliti decidere della propria vita e non aspettare in modo passivo quell'ultimo giorno che, per uno vecchio e malato come lui, era ormai alle porte. 
Lui stesso aveva detto della morte del padre: "La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena".


Caro Maestro, non incroceremo mai più il tuo sguardo fiero ma continueremo a ricordarti guardando e riguardando i tuoi bellissimi capolavori.

Addio Maestro.
 



B.

Quali sono i requisiti per vincere un Oscar come miglior film straniero? Se avete l'opportunità di guardare Il segreto dei suoi occhi ve ne renderete conto.
La storia è tratta da un romanzo di Eduardo Sacheri (La pregunta de sus ojos) che ne è anche lo sceneggiatore insieme al regista Juan José Campanella. Il film non era nemmeno tra i favoriti, ma forse ha giovato al regista la lunga esperienza in serie televisive statunitensi tra cui Law and Order e Dr. House.


L'impianto del film è quello di un noir. L'imput alla storia è dato dal desiderio di Benjamìn Esposito (Ricardo Darìn), agente in pensione, di scrivere un romanzo ripercorrendo le tappe di un caso su cui ha investigato 25 anni prima, nel lonatno 1974. Il caso Morales, questa la vicenda in questione, ha coinvolto particolarmente l'agente Esposito sia per la giovane età della vittima, una donna di 23 anni stuprata e violentemente uccisa, sia per l'amore, puro e totale, che Ricardo Morales (Pablo Rago), marito della ragazza, continua coltivare per la sua bella moglie ormai defunta.
Per scrivere questo romanzo Benjamìn non solo deve ritornare con la memoria sugli episodi che scandirono l'evolversi del caso ma anche su quelli che furono decisivi per la propria vita, per questo motivo torna a Buenos Aires e riprende i contatti con il suo passato e con Irene Menéndez Hastings (Soledad Villamil), suo capo diretto all'epoca dei fatti e sua grande passione nascosta e repressa.
Scrivendo il romanzo Benjamìn farà luce su alcuni punti della storia rimasti oscuri e soprattutto sulla propria vita sentimentale.
Motivo ricorrente del film è la passione, una sorta di fuoco motore delle azioni umane, che ogni uomo ha e che non riesce ad abbandonare, come provvidenzialmente sottolinea il collega Sandoval (Guillermo Francella) segnando un punto di svolta nella trama.
Continui sono gli sbalzi temporali, sempre fluidi e mai meccanici,  come se volessero mettere in evidenza che non è possibile chiudere con il passato in modo definitivo e che per sciogliere certi legami non basta la lontananza geografica o temporale.
Sullo sfondo della vicenda un altro stupro, quello dell'Argentina violentata dal golpe e da anni di dittatura militare.


Campanella riesce a raccontare una storia, intrisa di suspence  e melodramma, in modo antico, senza ricorrere a facili espedienti cinematografici puntando, invece, su un cast semplicemente eccezionale. Gli attori sono veri, carnali, non bellissimi e sofisticati come quelli cui Hollywood ci ha abituato, ma materiali, presenti in scena con la bellezza e l'espressività delle loro imperfezioni.
Ironia, amicizia, amore, nostalgia, vendetta, questi i sentimenti che mettono insieme le diverse storie dei personaggi le cui vicende sono raccontate senza enfasi nè retorica ma solo con una grande umanità in un'alchimia d'autore.
***

Cose da film, ovvero le cose incredibili che mai accadranno nella vita reale.
Anche in questo caso abbiamo riscontrato una cosa da film: 
Benjamìn è costretto ad andare a riprendere Sandoval nel bar di cui è abituale cliente e dove è solito, dopo lunghe bevute, azzuffarsi con altri avventori. Per una serie di fortuite coincidenze ci sarà un tragico scambio di persone di cui sarà vittima Sandoval. La stessa sera Irene aveva dato appuntamento a Benjamìn in un bar per parlare del loro rapporto, ma il tragico incidente capitato a Sandoval farà prendere agli eventi una piega diversa...della serie tutto in una notte.

B.


Scheda Film
Titolo: Il segreto dei suoi occhi / Titolo originale: El secreto de sus ojos / Regia: Juan José Campanella / Sceneggiatura: Eduardo Sacheri, Juan José Campanella dal romanzo "La pregunta de sus ojos" di Eduardo Sacheri / Fotografia: Félix Monti / Montaggio: Juan José Campanella / Scenografia: Marcelo Pont Vergés / Musica: Juan Federico Jusid / Interpreti principali: Ricardo Darìn, Soledad Villamil, Pablo Rago, Javier Godino, Guillermo Francella, José Luis Gioia /  Produzione: Tornasol Films, Haddock Films, Canal+ / Distribuzione: Lucky Red / Paese: Argentina / Anno uscita:  2009 / Genere: Thriller/  Durata: 129 minuti







Basta che funzioni è un film di Woody Allen uscito in Italia poco più di un anno fa, nel settembre 2009.
La pellicola è percorsa dalla solita vena autobiografica dell'autore, anche se questa volta è l'attore Larry David a fungere da alter ego del regista.

Appena ho iniziato a vedere questo film mi è venuta voglia di urlare, avrei voluto alzarmi dopo i primi 5 minuti consapevole che non sarebbe migliorato con il procedere del tempo, eppure, per una sorta di innato masochismo, l'ho visto tutto, fino allo scorrere dei titoli di coda.

Sono cresciuta nel mito di Woody Allen, nel mito di questo nevrotico di Manhattan che sapeva farmi sorridere dei suoi problemi (problemi spesso a noi familiari) ed era capace, grazie al suo punto di vista sarcastico, di farmi riflettere sulla società.

Ora, cari amanti di Woody, possiamo dirlo ad alta voce, facciamo outing, questo signore ci ha ammorbato con i suoi soliti pseudo-problemi.Dopo una parentesi europea fatta di film per lo più inutili, torna a New York e cosa ci racconta? Ci racconta ancora di sè, della sua vecchiaia, della sua voglia di bello e di giovane, il tutto con i toni veramte stucchevoli della comemdia dell'arte.

Mi sembra che il signor Allen stia esagerando con i suoi tentativi di giustificare il suo stile di vita. Ok, gli piacciono le ragazze giovani, anche molto giovani ... e a quale maschio etero e sano di mente non piacerebbero? Ma lui cerca ancora una volta di avere una giustificazione dalla società (vedi il suo rivolgersi direttamente allo spettatore) mentre prova ad interpretare il comune sentire verso argomenti quali l'ebraismo, dio ed altro con battutine acide ed artefatte che sanno un pò di stantio e di abusato.
Mi dispiace non parlarvi approfonditamente della trama ma la considero un'operazione inutile, ve la descrivo in modo stringato:
un vecchio fisico in pensione è esarcebato dalla sua vita ma incontra per caso una giovane e stupida ragazza di provincia che a causa della prorpia inferiorità culturale si innamora del vecchio sino a sposarlo. Un giorno arriva la madre della ragazza a sconvogere la loro tranquillità matrimoniale ... ma alla fine tutti si ricongiungono serenamente, forti dei loro nuovi equilibri cittadini.

Woody da vero newyorkese guarda alla provincia americana con una certa fastidiosa superiorità. New York è certamente una grande città all'avanguardia, ma la sensibilità per il bello e per l'arte è ovunque, i geni non diventano tali solo perchè bevono alla sacra fonte metropolitana dell'acquedotto newyorkese. So bene che si tratta di metafore, ma quando sono così sfacciate, possono ancora chiamarsi tali? Insomma l'uso delle matafore è qualcosa di delicato che va dosato con attenzione. 
Il trattamento riservato alle donne è, se possibile, ancora peggio. Le donne di questo film sono stereotipate per cui o sono belle, stupide ed innocenti come la protagonista femminile (Evan Rachel Wood) il cui personaggio ricalca un pò troppo quello già visto ne La dea dell'amore, o sono sessuomani represse o sono fataliste con sindrome da crocerossina.
Mi dispiace andare contro corrente, ma questo film non racconta nulla di nuovo e non lo racconta nemmeno bene. Senza poesia. 
Consiglio
La visione di questo film è severamente vietata a chi ha amato Manhattan ed Hannah e le sue sorelle.

B.


Scheda Film
Titolo: Basta che funzioni / Titolo Originale: Whatever works / Regia: Wooody Allen / Sceneggiatura: Woody Allen / Fotografia: Harris Savides / Montaggio: Alisa Lepselter / Scenografia: Santo Loguasto / Interpreti principali: Larry David, Evan Rachel Wood, Patricia Clarckson, Conleth Hill, Ed Begley Jr., John Gallagher Jr. / Produzione: Gravier Productions, Perdido Productions, Wild Bunch / Distribuzione: Medusa / Paese U.S.A. Francia / Anno uscita: 2009 / Genere: commedia / Durata: 92 minuti

Basilicata coast to coast è un road movie all'italiana anzi alla lucana.
Il film parla del sogno di Nicola Palmieri (Rocco Papaleo), insegnante di matematica da anni front man di un gruppo musicale, che decide di partecipare al rock festival di Scanzano Jonico raggiungendo la località a piedi partendo da Maratea. A Nicola si uniscono ovviamente gli altri componenti della band interpretati da Alessandro Gassman, Paolo Briguglia ed un silenzioso Max Gazzè. All'impresa si interessa solo una testata parrocchiale che avrà come inviata Tropea (Giovanna Mezzogiorno) figlia viziata e insoddisfatta di un ministro.  
Come in ogni road movie il viaggio rappresenta un momento di crescita e di individuazione di sè e ciò accadrà per tutti i personaggi coinvolti. 
La commedia è brillante senza essere banale e l'esordio dietro la macchina da presa di Rocco Papaleo è notevole soprattutto per la voglia di portare sulla scena le terre della Basilicata, troppo spesso dimenticate e ricordate solo per progetti malsani (qualcuno ricorda quando si volevano smaltire le scorie radioattive nei pressi di Scanzano Jonico?).
La sceneggiatura è a tratti esilarante, mentre il punto debole della pellicola è il soggetto, sempre opera di Papaleo e Lupo, percorso da un'ansia troppo buonista per cui tutti i personaggi trovano pace e soluzione a tutti i loro problemi.
Rocco Papaleo è bravissimo, ma gli altri attori indossano in malo modo i panni di personaggi già poco credibili a partire da Gassman che scimmiotta il lucano fino a Giovanna Mezzoggiorno stronza in modo troppo gratuito. Donano colore e vivacità, invece, i personaggi minori, figli di quella terra che portano sulla scena in modo vivido i sentimenti più veri della Basilicata.
***
Cose da film, ovvero le cose incredibili che mai accadranno nella vita reale.
Anche in questa pellicola sono presenti elementi surreali, anzi ancora una volta è presente una moglie veramente fantastica.
Nicola Palmieri è sposato con Lucia (Michela Andreozzi), una donna piacente e ricca che non solo non ostacola i progetti del marito, ma che, anche dopo una discussione, raggiunge Nicola al festival di Scanzano e, dopo aver rinunciato a partecipare ai festeggiementi per l'anniversario di nozze dei prorpi genitori, si ritrova in una piazza ormai deserta ad incoraggiare il marito che suona con la sua band sotto la pioggia...mah!

B.



Scheda Film
Titolo: Basilicata Coast to Coast / Regia: Rocco Papaleo / Sceneggiatura: Rocco Papaleo, Valter Lupo/ Fotografia: Fabio Olmi / Montaggio: Christian Lombardi / Scenografia: Elio Maiello, Sonia Peng / Musica: Rita Marcotulli / Interpreti principali: Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Paolo Briguglia, Rocco Papaleo, Max Gazzè, Claudia Potenza, Michela Andreozzi, Antonio Gerardi, Augusto Fornari, Gaetano Amati /  Produzione: Paco Cinematografica, Eagle Pictures, Ipotesi Cinema / Distribuzione: Eagle Pictures / Paese: Italia / Anno uscita:  2010 / Genere: Commedia /  Durata: 105 minuti

Chi conosce Piccioni come regista sa bene che sarebbe inutile raccontare la trama dei suoi film, non perchè non sia comprensibile ma perchè non è nella storia raccontata che si appunta l'interesse del regista. Il soggetto del film è molto forte e credibile, Piccioni porta sullo schermo, come è solito fare, delle vite normali, i suoi protagonisti non hanno nulla di eccezzionale, non sono troppo belli, non sono troppo ricchi e di solito non sono troppo vincenti, insomma ognuno di noi potrebbe riconoscersi in uno di questi personaggi.
Il film parla di uno scrittore, Guido, interpretato da Mastandrea, che vive un  momento di successo tanto da essere candidato ad un prestigioso premio letterario, nonostante tutto la sua vita non ha nulla di eccezionale (eccezionali sono solo le dimensioni della casa in cui vive). La cosa che più colpisce è la totale mancanza di trasporto di Guido per la prorpia vita: è in crisi creativa, è in crisi con l'editrice, manco a dirlo ignora la moglie e poco si prende con la figlia sovrappeso. L'impronta del personaggio è ben delineata dalle prime battute quelle del dialogo tra lo scrittore e la figlia in cui quest'ultima mostra tutta la sua insofferenza verso il nuoto che vive come una costrizione da parte di un padre che non sa nuotare e che non ha il coraggio di imparare a farlo. Sin da questi primi minuti di pellicola si capisce che Guido si rifiuta di vivere una vita propria e l'unica cosa che sa fare è inventare personaggi che la vivano al suo posto. Guido non riesce ad uscire dai luoghi della sua casa, di quella che ormai è una tana che stenta ad abbondonare al punto da rimandare il trasferimento nella nuova casa della sua famiglia eppure, quasi come per una sorta di tacita sfida con il mondo esterno, inzia  a nuotare. In acqua, inizia una sorta di rinascita che lo porta relazionarsi con l'istruttrice di nuoto, Giulia (Valeria Golino). Giulia è scostante, fredda, dura anche nel linguaggio, non lascia spazio alle relazioni, nonostante ciò è intenerita da questo scrittore maldestro, cui, col tempo, rivela di essere in libertà condizionata a causa di un omicidio commesso qualche anno prima e di avere una figlia che non vede da tanto ma che a volte spia da lontano. La relazione tra Guido e Giulia è forte, apparentemente serena eppure destinata a non durare. Guido pensa che anche Giulia sia un personaggio dei suoi romanzi, tanto da inziare a scrivere un racconto che la vede come protagonista, e, come se non bastasse, inizia ad intromettersi nella vita privata della donna tanto da comprometterne irrimediabilmete il fragile equilibrio.
Guido voleva sostenere Giulia eppure non ha fatto altro che spingerla verso il basso.
Il film non parla soltanto di quella sorta di presunzione che solitamente si ha nelle relazioni amorose quando si pensa di poter essere tutto per l'altro, di poter essere un salvagente contro i marosi della vita del partner, ma anche e soprattutto della conseguenza delle azioni. Ogni personaggio, sia Giulia che Guido, ha commesso un'azione deplorevole di cui non si pente ma di cui pagherà amaramente le conseguenze, ove queste ultime rappresentano la vera condanna e il vero carcere dal momento che il mondo in cui vivono i protagonisti di questa storia è un mondo senza sconti e senza perdono.
Il film è intenso e chiaro, solo qualche passaggio stucchevole nel momento in cui i personaggi protagonisti delle storie dello scrittore prendono vita: la scena in cui tali personaggi circondano e vegliano Guido mentre dorme alla scivania è degna del filone "Amelie".
***
Cose da film, ovvero le cose incredibili che mai accadranno nella vita reale.
1) Guido stenta a trasferirsi nel nuovo appartamento dove invece la moglie la figlia hanno già traslocato. Una sera la moglie gli si avvicina e con fare molto dolce dice che lei si occuperà del trasloco mentre lui può andare nel nuovo appartamento quando si sentirà pronto. MA SCHERZIAMO!!! una donna che si accolla da sola un trasloco e non fa nemmeno una scenata isterica, non tira fuori dai polmoni nemmeno un urlo di guerra contro quel marito apatico e nullafacente? Tutto ciò è frutto della fantasia degli sceneggiatori (Piccioni e Pontremoli) e non ha alcuna aderenza con la realtà.
2) Durante la conferenza stampa della cinquina di scrittori candidati al premio letterario arriva Giulia che intercetta Guido alla fine della conferenza. Guido è visto dalla propria moglie mentre chiacchiera fitto in un angolo con questa sconosciuta per poi sparire repentinamente insieme alla donna e...durante il resto del film...non una domanda sull'identità di quella donna, non un chiarimento sulla sua fuga improvvisa. Va bene, ci troviamo di fronte a personaggi che fanno parte dell'alta borghesia romana e che sono così snob da continuare ad ignorare le persone che non sono state loro regolarmente presentate, ma quale moglie ancora degna di essere definita tale non chiede delucidazioni al riguardo??? Ovviamente tutto ciò rientra nel fantastico mondo delle cose da film.

B. 

Bright star è un biopic (per chi non fosse così moderno da intendere il termine, biopic sta per biographic picture) e tratta della storia d'amore tra John Keats e Fanny Browne durata dal 1818 al 1821, anno della morte del poeta. 
Jane Campion ritorna, dopo In the cut, ad un genere da lei tanto amato, quello del film in costume in cui la regista si muove così bene creando, grazie alla sua maestria, seducenti atmosfere. L'autrice neozelandese affronta nuvamentela biografia di un poeta (nel 1990, con Un angelo alla mia tavola, aveva trattato la travagliata vita delle poetessa Janet Frame) e di quell'intreccio tra poesia e follia che spesso caratterizza la vita degli artisti. In Bright star sono riproposte quelle atmosfere, quella fotografia, quel connubio tra sentimenti e natura, tra delirio amoroso ed ordine cosmico che avevano già caratterizzato il film del 1990.
Ancora una volta è messo in scena iltema della poesia e della follia, anche se in Bright star la follia artistica e quella amorosa si mescolano, si fondono e creano un loro equilibrio, trovano una loro misura lontano dalla società, dalla famiglia e dagli amici che restano spettatori di qualcosa di incomprensibile.
Il tema del delirio amoroso, già toccato in Holy smoke, qui subisce un freno, è messo sotto il gioco delle regole di una società ottocentesca cui, però, si mostra recalcitrante.
L'amore e la passione per la musa ispiratrice rappresentano il tema di fondo del film, omnia vincit amor,direbbe Virgilio, eppure qui l'amore non vince prorpio su nulla: la madre di Fanny Browne acconsente al fidanzamento della figlia con Keats solo quando si rende conto che quel tipo macilento è destinato alla morte; Brown, amico e mecenate di Keats, si disinteressa a quest'ultimo perchè preso dalla relazione con una ragazza della servitù; lo stesso Keats, malato di tubercolosi, muore in Italia lontano dalla sua amata.
Bello il film, profondi i sentimenti, eppure c'è qualcosa che manca; nelle rosee e palcide carni della protagonista, interpretata da Abbie Cornish, lo spettatore non riesce ad avvertire lo struggimento amoroso e non riesce ad immedesimarsi.
Troppo di maniera e forse troppo ripetivo nei contenuti con personaggi poco sfaccettati, a vederlo non sembrerebbel'opera di un'autrice collaudata e barava come la Campion, ma sembrerebbe un film tirato via quasi come se i produttori bussassero continuamente alla porta.
Il film merita in ogni caso di essere visto, se non altro per la fotografia.
Consiglio:
Si consiglia questo film a coppie in fase di conoscenza. E' un film che si addice un pò a tutti i palati, anche a quelli a digiuno di cinema d'autore; ben si adatta ad una serata romantica, da proiettare magari dopo una buona cenetta preparata in casa e magari dopo un buon caffè ... meglio se bello forte!!!

B.



SCUSATE IL RITARDO. Mi ripresento a voi con questa frase non solo per scusarmi della la lunga pausa estiva ma anche per ricordare Massimo Troisi, grande artista partenopeo che è stato in grado di scardinare lo stereotipo del napoletano guappo. Troisi viveva nel paese del sole ma all'ombra del Vesuvio, ed è proprio la parte più intima e riflessiva quella che ha sempre portato in scena, strappandoci sorrisi pieni di comprensione e tenerezza.
Il film del 1983 porta sulla scena un trentenne disoccupato e con problemi di relazione con l'altro sesso ... insomma, nonostante siano trascorsi quasi 30 anni, resta un film attualissimo!!!
Consiglio a tutti di rivederlo perchè è piacevole e delicato e perchè Lello Arena, premiato con il David di Donatello come miglior attore non protagonista, è eccezionale!

B.








Nessuna donna può negare di avere un lato frivolo, nessuna donna può negare di aver visto Colazione da Tiffany.
Eleganza, stile, superficialità, leggerezza sincerità queste le qualità che connotano il personaggio di Holly Golightly, interpretato ovviamente da Audrey Hepburn, queste le qualità che l'hanno fatta diventare un'icona di stile in tutto il mondo ed in tutti i tempi. Certo hanno contribuito gli spelndidi vestiti di Givenchy, ma la classe innata della Hepburn dona al film un'immagine sofisticata, forse addirittura più di quanto ci si aspetterebbe dal personaggio.
Il vero nome di Holly è, infatti, Lulamae Barns, ragazza trasferitasi dalla provincia in città perchè spinta dal desiderio di avere un fidanzato facoltoso che possa farle vivere una vita agiata.
Se volessimo essere aridi e riduttivi potremmo dire che questo film è la storia di un uomo ed una donna, vicini di casa, entrambi mantenuti ed in cerca di fortuna, ma come si può essere immuni dal romanticismo quando si parla di Colazione da Tiffany? Ecco perchè dobbiamo raccontare la storia da un ben differernte punto di vista: due vicini di casa disillusi e moderni cercano la felicità nei beni materiali ed in chi può procurarglieli ma poi scoprono cos'è l'amore per la vita, per il prossimo, per il gatto, abbandonano il randagismo sentimentale e decidono di dedicarsi l'una all'altro.
Il film è estremamente moderno ed affronta delle tematiche scottanti per l'epoca (1961) anche se la sceneggiatura di George Axelord non è molto fedele al romanzo di Truman Capote ed in effetti ne offre quasi una versione edulcorata. Ad ogni modo il film eredita dei personaggi con delle caratteristiche molto attuali ed è sorprendente come alcuni argomenti vengano affrontati con naturalezza. E' proprio vero, allora il modello per l'emacipazione dei costumi dovevamo importarlo dagli Stati Uniti, ma tranquilli ormai li abbiamo superati...almeno su questo fronte!!!
Proprio a proposito di emancipazione, vi ricorda qualcuno la nostra delicata e minuta signorina Holly? Bei vestiti, belle compagnie, piccolo bilocale nel cuore di New York e soprattutto abiti e stile di vita al di sopra delle possibilità? Negli ultmi anni un personaggio simile ha imperversato sugli schermi televisivi e non solo, ancora non avete capito? Già, Holly Golightly è l'antesignana di Carrie Bradshow, protagonista di Sex and the City. Pensavete si fossero inventati qualcosa di nuovo e innovativo? Invece no, Truman Capote ci aveva pensato 30 anni prima dei produttori della HBO solo che il suo personaggio non indossava ancora le ormai famose scarpe Manolo Blahnik.
Ricordo, anche se sono indimenticabili, che gli autori della famosissima Moon River sono Henry Mancini e Johnny Mercer, Oscar per la miglior canzone, il regista è il grande Blake Edwards ed il vicino di casa è interpretato da Mickey Rooney.
Consiglio di rivedere il film (so che lo avete visto tutti almeno una volta) perchè Audrey Hepburn è elegante anche con l'asciugamano in testa,  perchè da allora il tubino nero è un must, perchè riascoltare Moon River è sempre commovente.
B.

Freddo, fame, paura, desolazione questo è ciò che descrive e trasmette The Road, altro film  tratto da un romanzo di Kormac McCarthy (La strada, trad. M. Testa, ed. Einaudi), nelle sale dal 28 maggio. Il film parla della strada verso la costa atlantica percorsa da un padre, Viggo Mortensen, e da suo figlio, Kodi Smith Mc-Phee,  in uno scenario post apocalittico. La terra ormai è allo stremo: la vegetazione sta scomparendo (una delle prime scene, infatti, inquadra un fiume ricoperto da tronchi di alberi) ovviamente gli animali si sono estinti e sono sopravvissute solo alcune persone allo stadio ferino, bestiale. La Terra è un freddo deserto ove solo pochi profughi lottano strenuamente per la sopravvivenza, e se già in un mondo pieno di benessere come il nostro, la bestialità umana non stenta a venir fuori, potete ben immaginare cosa può accadere in questo tipo di scenario. Già in "Non è un paese per vecchi" avevamo capito che per McCarthy vale il motto homo homini lupus, ora questo motto ce lo descrive sapientemente il regista australiano Jhon Hillcoat: dilaga il cannibalismo e quindi l'autodistruzione. Il film, nonostante sia percorso da una forte suspence, ha poche scene d'azione. Qualche flashback ci fa capire come le cose siano precipitate nel giro di pochi anni: vediamo il protagonista condurre una vita normale con la fidanzata, poi moglie, Charlize Theron, ma i problemi sono già sorti nel periodo della nascita del figlio. Quello che più  colpisce è che, al contrario di tutti film apocalittici, all'autore non interessa affatto descrivere le cause all'origine dell'apocalisse, quest'ultima ci è fornita come un dato di fatto, interessa solo come l'umanità può reagire in un contesto simile. Anche se il portagonista non fa che ripetere al figlio, per rassicuralo, che loro sono i buoni, non vi aspettate buonismo: se c'è bisogno di uccidere si ucciderà; non si aiuterà il prossimo perchè significherebbe dispendio di energie. L'egoismo, l'individualismo percorre tutto il film. Vediamo un padre che vuole difendere strenuamente suo figlio, la sua discendenza anche se questo costa loro fatica, dolore e soffererenza. Sebbene abbia la consapevolezza che moriranno comunque, questo padre continua a difendere la propria specie, anche a discapito di altri, perchè ormai, anche se  non fa che ribadire che  è un "buono", ha perso ciò che lo rendeva umano. Un'aura messianica si intravede, però, nelle parole del protagonista che più volte afferma che il figlio è Dio, che il figlio è il Verbo, anche quando incontra la figura ieratica di un viandante interpretato da Robert Duvall. Questo è l'unico modo in cui riusciamo a cogliere un barlume di speranza.
Spoiler. Il finale è aperto e più ottimista di "Non è un paese per vecchi". In The road c'è la speranza che i buoni, gli Uomini, non si siano del tutto estinti, e che la fiducia che dovrebbe legare l'umanità, non sia del tutto perduta. Insomma bella la fotografia, nonostante i toni cupi, plumbei, bravo Viggo Mortensen, toccante la colonna sonora di Nick Cave and the Bad Seeds. Consilgio il film a chi è stimolato a comprare un libro, anche dopo esser andato al cinema ed aver visto "come va finire". La cosa bella del cinema in fondo è anche questa, il legame forte che ha con la letterratura. Se non fosse stato per i fratelli Coen forse non avrei mai letto un romanzo di Mc Carthy. Ora corro a comprare anche The road.
N.B. il trailer è fuorviante, per cui chi si aspetta un film d'azione rimarrà deluso.




B.


Cari amici, vi segnalo una mostra di fotografia. Vi ricordate il genio del dottor stranamore, di 2001 Odissea nello spazio, quello che ha deciso di utilizzare le luci naturali per gli interni di Barry Lindon, quelo che ha fatto impazzire Shelley Duvall in shining, quello che per primo ha utilizzato la steadicam ed ha esasperato l'operatore Garret Brown? Sì è prorpio Stanley Kubrick ed il Palazzo della Regione di Milano gli dedica una mostra dal titolo "Stanley Kubrick fotografo". Se tutti noi apprezziamo il genio per come ha saputo tradurre in immagini alcuni romanzi rendendoli più famosi di quello che erano, forse vale la pena di visitare questa mostra. Sapete bene che l'attenzione per le inquadrature in Kubrick era addirittura maniacale, ecco perchè, secondo me, potrebbe essere interessante studiare il percorso della sua formazione. Kubrick è stato spinto sempre dalla necessità di raccontare, di trasmettere i suoi messaggi nel modo più chiaro possibile. Una costante della sua produzione artistica è stata l'attenzione posta nel cercare di riprodurre esattamente il suo punto di vista sulle cose, sul mondo. Eccolo allora come fotoreporter della rivista Look dal 1945 al 1950. La mostra espone trecento foto del grande genio suddividendole in due percorsi. Adando a curiosare tra queste foto potremmo, forse, capire quello che è all'origine di una passione così grande per l'immagine e cercare di comprendere il percorso che ha portato l'autore dall'immagine statica a quella in movimento. La mostra chiude il 4 luglio 2010, per cui affrettatevi! Di seguito il link della mostra: http://www.mostrakubrick.it/

B.


Salve a tutti, la notizia di questi giorni è sicuramante la premiazione a Cannes di Elio Germano come migliore attore per "La nostra vita" di Daniele Luchetti. In attesa di vedere il film, voglio invece ricordarvi la prova dell'attore romano nel film di Salvatores "Come Dio comanda". In questo film ancora una volta (dopo "Io non ho paura")Salvatores porta sullo schermo un altro romanzo di Niccolò Ammaniti. Vi riassumo la storia in poche parole: un padre, Rino, alcolizzato e disoccupato è ingiustamente sopsettato dal figlio di 14 anni dell'omicidio di una ragazzina sua coetanea. Rino, infatti, viene ritrovato dal figlio mentre in coma giace accanto al cadavere della ragazza. Solo alla fine del film il ragazzo scoprirà che l'autore del delitto è stato "Quattro formaggi" (Elio Germano) amico di Rino con problemi di ritardo mentale in seguito ad incidente sul lavoro. Ciò che rende accattivante il film non è tanto l'intreccio ma le atmosfere che Salvatores ha sapientemente riprodotto: l'ambientazione è in una città del nord-est italiano di cui percepiamo non solo il freddo metereologico, ma anche quello che si poratno dietro queste solitudini umane. Sono tutti soli eppure si cercano e cercano l'aiuto dell'altro proprio nel momento più tragico della loro vita. Non tutti troveranno nell prossimo quella via d'uscita tanto sperata, questa possibilità è, infatti, offerta solo a Rino che riuscirà a ritrovare l'amore e la fiducia del figlio e forse anche la voglia di cambiare. La paura e il dolore che nella prima parte del film hanno diviso, servono, alla fine, a segnare un punto di svolta e di incontro con se stessi, con il proprio destino o con l'altro. Consiglio la visione del film non tanto per la prova di Elio Germano, bella ma poco misurata, quanto per la prova di Filippo Timi che porta sullo chermo un personaggio che sembra gli sia stato cucito addosso.

B.

24.5.10

decalogo di un cinefilo intollerante

Pubblicato da B. |


Ben ritrovati a tutti. È arrivato per me il momento di illustrarvi quale sarà la linea secondo cui saranno redatti i contenuti di questo blog: nessuna. Vi ho spiazzato? Non credo. Quello che più mi affascina del blog è l’assoluta libertà con cui si possono gestire le recensioni, al di là di ogni sorta di genere.
Tanto per farvi avere un’idea di miei gusti cinematografici: non ho mai visto né Titanic né Avatar e non me ne vergogno! Da qui potete dedurre che Cameron non è il mio regista preferito. Non posso dire che i film sopra citati siano brutti, dico solo che nella vita si fanno delle scelte e, dal momento che non si ha, purtroppo per noi, il tempo di provare tutto, subentra il pregiudizio a darci una mano…ah, il caro vecchio pregiudizio!
Il primo post è sempre un po’ imbarazzante e dedicarlo alla recensione di un film mi avrebbe obbligato ad operare una scelta troppo difficile ed ardua. Allora ripiego e vi fornisco l’elenco delle 10 cose che più mi danno fastidio quando sono seduta su una poltrona rossa:
1) Quelli che mangiano. Non ho mai capito perché la proiezione di un film stimoli la fame e, soprattutto, non ho mai capito perché il cibo che si consuma al cinema è tra i più rumorosi (e se non lo è il cibo, lo è di sicuro la confezione). Mi chiedo come fanno le parole dei personaggi del film ad arrivare alle piccole orecchie di questi incessanti roditori e succhiatori di cannuccia fino all’ultima goccia, come fanno i sospiri degli attori a superare quel gran rumore di ganasce?
2) Quelli che arrivano tardi, a proiezione già iniziata e pretendono anche di scegliere il posto.
3) Quelli che hanno accompagnato la fidanzata, volevano vedere la partita, e dopo quindici minuti di film iniziano e russare.
4) Quelle che non svegliano i fidanzati che russano.
5) Quelli che non hanno trovato posto alla proiezione di Avatar 3D ed hanno ripiegato su un altro film, un film qualunque di cui non conoscono nemmeno il titolo, sono stracarichi di ogni tipo di porcheria, dal dolce al salato (cfr. punto 1) e dopo aver finito di mangiare iniziano a guardarsi intorno smarriti.
6) I fidanzati, quelli nostri, quelli che sostengono che anche a loro piace il cinema d’autore e che, una volta cominciata la proiezione, ci sussurrano all’orecchio le cose più impensabili (lettori non vi illudete, nella migliore delle ipotesi ci ricordano che il bollo dell’auto è scaduto).
7) Quelli che si appoggiano sul vostro bracciolo. È vero, c’è una diatriba in atto: il bracciolo è in mezzo per cui nessuno può esercitare il diritto di prelazione, ma pretendere di appoggiare entrambe le braccia mi pare troppo!
8) Quelli che non spengono il telefonino ed inseriscono il vibra call, ricevono una telefonata, il cel comincia a vibrare, se ne accorgono tutte le persone sedute nelle tre file vicine, ma loro fanno finta di nulla, nemmeno frugano in cerca del telefono per mettere fine a quello strazio. Consiglio a chi si riconosce in questa categoria: se non siete il doc. House uscito pur avendo l'obbligo di reperibilità, evitate il vibra call!!!
9) Quelli che ridono, spesso, troppo...e i loro degni compari, ovvero quelli che non hanno capito l’ironia di una battuta, ma per spirito di emulazione, ridono.
10) Quelli che guardano con smaniosa cadenza ritmica l’orario sul display del cellulare che illumina a giorno tutta la sala: tesoro, non ti trattiene nessuno!!!
B.


23.5.10

Benvenuti sulle poltrone del mio blog

Pubblicato da B. |

Salve a tutti, oggi mi sono regalata un blog tutto mio sul mio cinema. Qualcuno si chiederà se sia necessario un altro blog, l’ennesimo, su questo argomento. Ovviamente per voi no, ma per me sì. Dopo aver preso consapevolezza dell’importanza che il cinema ha avuto nella mia vita, voglio rendergli omaggio e spero di farlo in modo degno.
Spendo solo due parole sul nome del blog; Poltrone Rosse non è solo una brutta citazione del celebre film di Zhāng Yìmó, ma è un interrogativo che mi ha accompagnato per buona parte della mia vita: perché le sale di quasi tutti i cinema sono arredate con poltrone rosse? Non ho mai avuto risposta al mio interrogativo, ho solo smesso di chiedermelo senza però smettere di subire il fascino di queste poltrone rivestite di velluto o di misto cotone o di pelle, più o meno comode con braccioli più o meno lunghi, più o meno larghi, con portavivande o senza. So bene che, ormai, l’orientamento dei nuovi cinema è ben diverso ed anche le vecchie poltrone rosse stanno scomparendo a favore di poltrone dai freddi colori blu e verdi, ma cosa importa? È l’idea legata a quelle poltrone che le rende affascinanti e nel mio immaginario le poltrone di un cinema saranno sempre e solo di questo colore.

B.

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